Solitaria sulla Via del Vento al Dito Dones
Se sei stato all’Alva almeno una volta l’avrai visto lí in alto, quasi sospeso nel vuoto fra bosco e cielo.

Mi son sempre chiesto se quella specie di picio si scalasse o avesse anche solo un nome. Venne in aiuto il mio socio Luis che disse che sì, si scalava e sì, aveva un nome: Dito Dones.
Preso da troppo entusiasmo in una bella giornata d’estate, risalgo il sentiero per farmi una bella giornata d’arrampicata. Ma non tutte le solitarie vanno allo stesso modo, sebbene i pensieri siano molto spesso simili.
Quando arrivo all’attacco, già non sono troppo sicuro.
Mi lego, faccio qualche metro, rinvio qualche spit e poi mi fermo su una cengia. Un quarto d’ora a capire se ne ho voglia. Appeso a cercare delle motivazioni: poi mi calo, non mi va. Gli avversari peggiori siamo noi stessi. Mi fermo a mangiare qualcosa alla base della via e a pensare quanta poca importanza può avere tutto questo, una cima che qualcuno non chiamerebbe neanche montagna, tanto è bassa ed a valle.
Me ne sto lì a fare manovre e provare cose che mi serviranno, anche oggi imparo qualcosa. Soprattutto a cercare di non incasinare le corde.
Ma quella via continua a tornarmi in mente: niente di epico, solo 5 o 6 tiri di corda a due passi da casa, su difficoltà moderate. Cosa ci spinge a scalare un via piuttosto che quella affianco?

Ritorno un paio di mesi dopo, con molta più motivazione, meno caldo e più pepe al culo: so che dovrò essere in cima presto, il pomeriggio prevede grandi piogge. Solo un attimo di indecisione all’attacco — il solito — poi la vista della parete mi scuote e salgo veloce verso il primo tetto. Mentre mi calo per smontare il secondo tiro, un paio di allegri cinquantenni compaiono alle mie spalle.
Mi chiedono com’è la via, se mi sta piacendo: “Bellissima” e no, non voglio legarmi con loro, oggi va bene così. Al tiro dopo si dichiarano: sono gli apritori. Facciamo amicizia ed alle emozioni di scalare da solo si uniscono quelle, ugualmente belle, di chiacchierare fra un tiro e l’altro con chi quella via l’ha chiodata.
Vorrei godere della giornata il più possibile e me la prendo con calma: scalo, smonto, risalgo, un tiro dopo l’altro. Chiedo nuovamente se vogliono passare avanti: no, anche loro non hanno fretta. Poi quando il vento che dà il nome alla via comincia a farsi sentire siamo già in cima, sotto la croce, troppo presto. Poche parole, si scherza un po’. Franco mi ringrazia di cuore di essere venuto a ripetere la sua via, più di un padrone di casa che si prodighi per i suoi ospiti.

Un pensiero sul libro di vetta, poi in pochi minuti scendo lungo la ferrata del dito dones ed un piccolo sogno si esaurisce così.