C’è ancora spazio per l’avventura?

Andrea non è per nulla convinto: “Minchia che bastonata” mi scrive qualche giorno prima, quando stiamo ancora decidendo sul da farsi per il weekend e gli mando la relazione di Mombi.
Poi rincara la dose: “Non ce l’abbiamo quel grado in via”. Ancora oggi quelle parole mi risuonano in testa.
Da qualche anno scaliamo per lo più su vie che sappiamo essere alla nostra portata, che crediamo saremo in grado di ripetere, sulle quali siamo sicuri che non voleremo. All’imbrago sempre appesa la maglia rapida.
Non c’è fallimento, non c’è progressione, non c’è avventura.
Ci mettiamo in situazioni in cui tutto deve essere sotto controllo, dove il rischio non è più calcolato, ma praticamente eliminato. Non affrontiamo più il rischio, ma calcoliamo a priori esattamente il limite massimo che potremo sopportare. Tiriamo tacchette in falesie che manco Alex Megos, e tentenniamo su passi di aderenza quando il rinvio è sotto di 8/10 metri. In definitiva proviamo meno, e sbagliamo meno.
“Andiamo, proviamo ed al massimo ci caliamo: poi ritorniamo, se la via ci piace e ne vale la pena” gli dico.
Ma non basta: forse non siamo abituati più ai fallimenti, vogliamo certezze in quei pochi giorni all’anno in cui abbiamo la fortuna di poter andare in montagna.
Quando si tratta di scegliere una via in montagna, non amo gli avvicinamenti troppo lunghi: l’avventura mi piace in parete, più che sul sentiero, ed alle spedizioni preferisco le scalate leggere e veloci.
I miei soci mi prendono in giro: “15 minuti massimo, vero?”.
Mombi l’ho scelta così, ma non diteglielo: “Vi giuro raga bellissima, placche e cristalli, impegnativa, aderenza e buchi, chiodata con l’allegria di una via in ambiente, certo.”
In testa solo una cosa: avvicinamento 10 minuti.

Andre ci prova ancora fino al giorno prima, mentre riprendiamo confidenza con le placche al Sasso Remenno: “Potremmo fare la Gossemberg, e magari una vietta in val di Mello, qualcosa di semplice, magari siamo sbronzi e finiamo in falesia al Remenno”. Per fortuna all’ultimo momento si aggiunge Tomma (che tutto vuole tranne che passare una giornata in falesia): meglio così, saremo in tre, più lenti ma le attese in sosta saranno più piacevoli.
La sveglia della domenica suona con tutta la calma che ci contraddistingue, la colazione al Kundaluna è ricca, l’orario di attacco della via degno di un falesista della domenica: le frontali restano in macchina perchè oggi non serviranno, si spera.
Dieci. Minuti. Di. Avvicinamento. Tutto vero.
È subito possibile piazzare un alien verde dopo un paio di metri e prima di arrivare al primo fix, ma viste le difficoltà attese sui tiri più alti sarebbe bene iniziare da subito a camminare lunghi tra le protezioni cercando le sensazioni migliori per l’aderenza.
La relazione dei ragazzi del Giardinetto47 parla chiaro: l’arrampicata è tecnica, meglio prendere confidenza subito con lo spalmo ed attivare un po’ di concentrazione e spensieratezza visto che il primo tiro è lungo 40m e ha due spit. Andre ha tutta la scioltezza per partire alla grande, rinfrancato dalle birre della sera prima e dalla comoda notte in macchina.
Quando la palla passa nelle mani di Tomma al secondo tiro cominciano ad insinuarsi i primi dubbi: nessuno lo dice, ma è palpabile nell’aria quella sensazione di “Forse abbiamo pisciato lungo”. Sulla carta non dovrebbe essere troppo complesso, ma è un bell’enigma di aderenza che Tomma risolve a più riprese con grande ostinatezza, e noi seguiamo con difficoltà.
Non siamo venuti per scalarla a vista senza appenderci: me lo devo ripetere e lo ripeto anche ad alta voce, non tanto per convicermene, quanto per rinfrancare gli animi della cordata visto che le difficoltà andranno via via crescendo. È un lotta con se stessi, oltre che con il pilastro assolato.
Il pilastro dei Pesgunfi è all’imbocco della Val di Mello, poco oltre il Sasso Remenno, ancora prima di mettere gli occhi sulle belle strutture della valle: chissà se faceva caldo quel Maggio del ’87 quando Paolo e Sonja hanno aperto questo piccolo gioiello, se davvero erano giornate per cui era meglio restare in bassa valle. O se invece quel Maggio era caldo come quello del 2019.
Di sicuro avventurarsi sulle placche del Pesgunfi a Giugno verso l’ora di pranzo non è una grande idea.
Andre lo capisce al terzo tiro: gli regaliamo il tiro (forse) più bello: 50 metri di una placca che si impenna diventando verticale: tra knobs, buchi e svase è un tiro davvero splendido, con protezioni distanti, tutto da scalare a proprio piacimento. Andre ci mette un po’ a scalarlo, vuoi perchè quando gli spit sono lontani la sua testa vacilla un po’, vuoi perchè la roccia comincia a diventare rovente.

A metà tiro gli esplodono i piedi nelle scarpette, si cala e mi chiede se gli do il cambio.
Salgo io, rapido prima che il caldo renda l’aderenza impossibile. E ritrovo tutta quella sana incoscienza fra i rinvii lontani che tanto mi piace.
Che Paolo Vitali fosse alto me l’aveva detto la mia maestra quando ci spiegava come scegliere una via. Io non l’ho mai visto, ma ho finito per crederci: e giù con tutte le storie di scalatori alti, scalatori bassi, e ma quelli alti fanno meno movimenti e ma quelli bassi nei movimenti compressi sono facilitati… bla bla bla.
Certamente se quelli alti arrivano ad un buon appiglio, quelli bassi dovranno trovare un intermedia, o lanciare, o spalmare e credere nel dio dell’aderenza: io ci credo parecchio e lui su Mombi mi ascolta e mi aiuta, probabilmente perchè lo invoco a gran voce mentre scalo.
Li recupero distrattamente: mentre le corde scorrono nel secchiello guardo il tiro sopra di me, quel 6c che tanto ha fatto dubitare Andre per tutta la settimana: 5 o 6 metri di placca, pancia, “lama rovescia dove rapinare un riposino prima del violento boulder”, ristabilimento sopra lo strapiombo e muro verticale di grande concentrazione fino in sosta.
Quando mi raggiungono in sosta soddisfatti sento aleggiare quel sentimento tipo “Finora abbiamo scalato soprattutto noi…Sarà anche ora che scali un po’ tu Fra, visto che ci tenevi così tanto”.
Non mi faccio troppo pregare, anche perchè il riscaldamento è completo ed il mio sogno adesso è qua davanti.
Ci metto due o tre volte a ristabilirmi sopra la lama rovescia: alla terza volta guardo su, fra concrezioni minuscole e rari appoggi. Salgo due o tre metri, senza troppa convinzione prima che la testa vada in panne, poi volo oltre lo strapiombo.
Eccola l’avventura che stavamo cercando: imparare qualcosa, volare, concentrarsi, svuotare tutto il resto e divertirsi. La seconda volta che ci provo vado fino in sosta affrontando quel tipo di scalata in placca che tanto mi piace, passando fra maglie rapide arrugginite abbandonate da chi deve aver cercato la stessa avventura, colate e tacche bagnate, e dubbi sulla direzione migliore da seguire.

Sono prosciugato mentalmente, urlo di felicità e maledico ancora una volta mia mamma che non mi fatto alto come il Vitali che ha messo una sosta dove non arrivo neanche in piedi sulla cengia. Sono provato, ma al settimo cielo: sono quei momenti in cui la testa fa clic e tutto intorno si spegne e ci sei solo tu, la roccia, i piedi e gli occhi che cercano soluzioni.
Siamo stanchi, potrebbe finire qui, ma sarebbe davvero un peccato: Andre fuma, si complimenta e mi butta lì uno sguardo di quelli che la-voglia-di-scalare-l’abbiamo-appena-consumata-tutta.
Poi, prima che qualcuno pronunci il fatidico verdetto “Caliamoci” il buon Tomma gira le corde e decide che l’ultimo tiro se lo porta a casa senza troppo pensarci perchè la birra da Monica non può aspettare.
Restano poche foto della giornata, ma sensazioni che rimangono vive a lungo. C’è ancora spazio per l’avventura.
Anche su Mombi son salito con la mia maglia rapida.
Anche oggi la maglia rapida rimane appesa all’imbrago. E l’avventura può spingersi ancora oltre.

Se volete farvi quattro risate, portatevi dietro questa bella relazione: http://www.ilgiardinetto47.it/arrampicate/mombi/
Le altre vie della parete: http://www.paolo-sonja.net/mello/pesgunfi.html